lunedì 31 dicembre 2012

l'innominata


Driiiin! Driiiiin!
"Pronto?"
"Ehi ciao! Sono tornato a casa per le vacanze di natale e organizzo la solita cena col vecchio gruppo di scuola. E' per dopodomani. Non puoi mancare! Ci sei vero?!"
Eccola. La temibile "rimpatriata".  E ti senti fortunata che non si tratti dell'intera classe (32 persone, santo iddio!) ma solo del "gruppo simpatia".
"Faccio in modo di esserci dai!"
"E non fare quella sempre super impegnata! E' bello! Ci siamo propio tutti!"
"E sia! Ci vediamo dopodomani sera!"
 Maledetti amici studenti fuori sede: tornano si e no due volte l'anno, con i giorni contati, a stento riesci a vederli per un caffè e due chiacchere e loro, che fanno?! Decidono di utilizzare quel poco tempo che hanno a disposizione per una cena fra vecchi compagni di classe?! Ehi, genio! Non ti è mai venuto in mente che se, in quattro anni, queste persone le sento e vedo solo quando torni tu in città significa che, fondamentalmente... non le voglio frequentare?!

Sorrisi, strette di mano, baci, abbracci. Solite domande: "come stai", "come ti vanno le cose?", "all'università? quando ti laurei?"; solite risposte: "bene grazie", "non posso lamentarmi", "tutto vecchio, propio uno schifo; eh, ma queste domande biricchine! Tu quando ti laurei?". Tiè! Eccheccazzo!

Si insomma, le cene coi vecchi compagni di classe in cui tutto sembra andare bene a tutti: a giro ci si raccontano le novità, i successi, le soddisfazioni. Piovono lauree, specialistiche iniziate, relazioni che ancora reggono, dopo anni, convivenze, riconoscimenti, lavori. Ti senti una merda. Tutti stanno lì, a spiattelarti le loro fortune senza ritegno e tu, che già ti senti uno schifo di tuo nella vita di tutti i giorni, ti senti una merda. Anzi, una super merda!
Poi arriva il tuo turno. Fai un veloce bilancio. Niente laurea, zero progetti futuri (ecco perché niente laurea: dopo che farei?!), niente uomo/convivente, vita sessuale zero. Insomma, il totale è in negativo. Lì puoi fare due cose: o dire la verità e accollarti gli sguardi compassionevoli di chi, nella vita, ha più fortuna e se la cava meglio di te, o dire la verità... a modo tuo.
"E io... che vi devo dire?! Non mi sono ancora laureata, ma ci sono vicina. Ho fatto dei lavoretti che attualmente ho messo da parte per dedicarmi allo studio. Per il post-laurea, sto valutando delle alternative diverse. E si, sono felicemente single (ancora): non ho voglia di distrazioni, devo concentrarmi su me stessa, su quello che voglio. Ma si! Qualche storiella ce l'ho ogni tanto eh! Non sono mica una monaca di clausura! Ahahah!".
Visto?! La verità... a modo mio.
E intanto l'autostima si è sotterrata.

Finito lo strazio (non prima di aver tirato fuori la carrellata dei ricordi del liceo, ovviamente) ti infili in macchina e, guidando verso casa, ti riprometti che la prossima volta non ti farai trovare impreparata. Ti prometti che, la prossima volta, racconterai la verità, davvero: che ti sarai laureata, che avrai scelto come continuare i tuoi studi, che hai un ragazzo meraviglioso che scopa da dio e che ti senti davvero bene.
Neanche il tempo di assimilire bene questo stimolo che... ti ricordi che era la stessa cosa che ti eri promessa l'anno precedente, all'ultima cena-rimpatriata.
L'autostima, a quel punto, s'è data per dispersa.

In sintesi: darsi per malati alle cene di classe, a meno che non sei uno di quei bastardi a cui la ruota della fortuna gira per il verso giusto.

domenica 30 dicembre 2012

Per Damini, Sen... e tutte "le altre".


siate sempre capaci di sentire nel più profondo qualsiasi ingiustizia commessa contro chiunque in qualunque parte del mondo. È la qualità più bella di un rivoluzionario
[E. Guevara]


Qualche giorno fa è morta la ragazza indiana stuprata da sei uomini, per ore, su un autobus. È morta dopo settimane di agonia, mentre le donne di tutta l'India si riversavano nelle strade, pregando, urlando, piangendo la loro solidarietà, la loro rabbia, la loro voglia di non essere più vittime di uomini-belve e di un sistema loro complice. Mentre Damini era agonizzante sul letto di un'ospedale lontano, le donne indiane prendevano forza e coraggio mettendosi in gioco, come in uno strano gioco di scambio di energie vitali: una vita muore lentamente mentre lentamente la coscienza civile nasce, cresce e si ribella.
Damini, Nirbhaya, Amanat: sono degli splendidi pseudonimi scelti per l'ennesima giovane martire di un sistema complice e colpevole. “Senza paura”, “fiduciosa”, “leale”, “coraggiosa”.
Non starò qui a sciorinare le statistiche degli stupri commessi in India nell'ultimo anno, né dei suicidi delle donne che hanno subito quegli stupri.
Ricorderò solo quell'altra ragazza stuprata in un altra città indiana, proprio mentre Damini era in ospedale, suicidatasi perché, dopo aver deciso di denunciare gli stupratori (si, anche in questo caso si tratta di uno stupro di gruppo), si era sentita dire da un poliziotto che era meglio se ritirava tutto e si sposava uno degli aggressori. Questo basta più di ogni numero, statistica o percentuale.
È in questa circostanza che mi è balenato in mente il titolo di un articolo letto qualche tempo fa “Ha ancora senso essere femministe”. Ironia della sorte, Sen, la ragazza che ha scritto questo articolo, l'ha uccisa il suo ragazzo, un anno fa.
Si, ha senso essere femministe per Stefania; per il prete che scrive che siamo noi a provocare gli stupri; per quelli che non la pensano come lui ma, soprattutto, per quelli che la pensano come lui. Su tutti, però, ha senso essere femministe per quelle donne indiane, africane e latino americane, le donne che vivono nelle periferie del mondo e che, purtroppo, ancora non hanno la voce che abbiamo noi. Perché non tutte quelle uccise, stuprate, sfruttate, maltrattate e oppresse riescono ad avere un nome nelle mente di tutte noi come quello di Stefania Noce o Damini. Perché in alcune (sempre troppe) parti del mondo uno stupro non è stupro, un abuso non è abuso, oppressione non è oppressione: tutto questo è normalità, quotidianità, tradizione. È per queste donne rimaste nell'anonimato delle periferia e di una malata "normalità" che per me ha ancora senso essere femminista. È per loro, per noi, che mi ritengo ancora femminista e non una che “segue una moda” o “una nostalgica”, come alcuni mi hanno bollata in passato.
Di strada ce n'è ancora molto da fare. Abbiamo appena iniziato.

due "blabla", davvero


Io in realtà non lo so che ci faccio qui. Nemmeno credevo fossi capace di aprire un blog con le poche capacità informatiche che ho. 
Eppure eccomi qui. 
Con un blog. 
Fino a qualche anno fa avevo la pessima abitudine di tenere un diario che, più o meno costantemente, aggiornavo. Ho sempre temuto che tutto di me, delle mie esperienze, sarebbe stato perduto, che avrei dimenticato tutto, il bello e il brutto, e il panico e la paranoia erano tali che tentavo di imprimere su carta tutto, TUTTO. Povere agende, diari, quaderni e blocknotes. Poveri alberi. Povere penne. Col tempo la registrazione dura e cruda delle mie giornate è diventato un recoconto confuso e irriconoscibile non tanto di fatti quanto di sensazioni.
Ed eccomi qui, ventiduenne, con un ammasso di carta con appunti confusi scritti su qualsiasi cosa (quaderni, fazzoletti, scontrini, ritagli di carta) e un blog.
Un blog.
Che ci faccio con un blog?!
No, non farà la fine dei miei diari/appunti precendenti.
Sarà che siamo alle porte di un anno nuovo e voglio mettermi alla prova con un nuovo progetto?!
Sarà che ho bisogno di scrivere tanto da qualche parte per sfogarmi così la gente smetterà di lamentarsi di quanto sono sono prolissa?! 

La verità è che ho voglia di comunicare. 
Un mio amico dice che ho tanto da esprimere ma che, inesorabilmente, quando qualsiasi cosa tenta di uscire fuori, lo ributto giù in cantina, spegnendo la luce, chiudendo la porta  e gettando la chiave lontano. E, se è disponibile, ci metto pure un comò davanti la porta. Lo dice chiaramente il mio segno zodiacale col mio ascendente (bilancia ascendente scorpione, che di recente si è trasformato in bilancia ascendente saggittario: sono nata dieci minuti dopo quello che pensassi).
Si insomma, per farla breve.
Scrivere un blog, in forma anonima, mettendoci dentro quello che mi passa per la testa è un buon compromesso, per me, tra la mia voglia di comunicare e i miei istinti carcerari. 
Quindi.
Niente comò da oggi.
La porta la lascio socchiusa.