martedì 15 gennaio 2013

Libertaria prigionia

Ciao Peppe. Non mi conosci, così come io non conosco te, se non per qualche mezza iniziativa organizzata durante uno dei tanti autunni caldi degli ultimi anni. Seppure non ti conosco ieri ho passato tutta la mia giornata, dalle 8.00 del mattino fino a tardo pomeriggio, in una striminzita aula di tribunale. Seppure tu non mi conosci so che ti aspettavi che io ieri fossi lì, accanto a te, pronta ad alzare il pugno appena la porta dell'aula si è aperta facendoti entrare. Seppure non ci conosciamo, so che hai sentito il mio calore, la mia presenza.
Da mesi ti trovi, in assenza di giudizio, in una cella di massima sicurezza in un carcere a chilometri e chilometri di distanza dalla tua città, dalla tua famiglia, dalle tue compagne e compagni. Non vedi nessuno all'infuori di tua madre, una volta al mese, e del tuo compagno di cella (si, che fortuna dai! Solo un compagno di cella, non troppo diverso da te). Non vedi nè senti da mesi la tua ragazza, l'unico contatto esterno sono le tante lettere di amici e compagni che tentano, mezzo carta, di farti arrivare tutto il calore dei nostri corpi e dei nostri cuori, per riempire la tua cella e farti sentire meno solo, meno schiacciato.
Difficile pensarti così, come tanti altri, nel buio di una cella, a leggere e scrivere, a pagare per un reato che non esiste, solo perché da anni militi politicamente come anarchico. 
Difficile pensarti così... difficile vederti come ieri ti abbiamo visto: ammanettato, scortato da quattro poliziotti in borghese, costretto a sedere su una sedia accanto al giudice, con la scorta intorno a te. Ti abbiamo visto solo pochi sencodi, all'entrata e all'uscita dall'aula. Nemmeno il pugno ti hanno fatto alzare. I nostri occhi si sono incrociati, annuivi e ringraziavi durante i nostri cori "delle galere solo macerie!", "peppe libero, tutti liberi!". Ti abbiamo visto pochi secondi, tra i nostri applausi e slogan, attraversando il muro di digos che ci divideva, ci bloccava, tutti in bella mostra, con le loro videocamere non autorizzate puntate contro. Ti abbiamo visto pochi secondi a fine mattinata e siamo rimasti fino a sera per rivederti un'altra manciata di secondi, durante la lettura della sentenza. Nonostante avevi espresso la volontà di ritornare in aula per la lettura, chiaramente, ci hanno detto che avevi dato disposizione di tornare in cella. Dunque di nuovo lontano. Dove sei non lo sappiamo, se nelle segrete del tribunale o in aeroporto. L'unica cosa che sappiamo è che ti hanno impedito altri pochi attimi di socialità, contatto umano, solidarietà. E questo basta per aumentare la mia incazzatura, il mio disgusto, il mio senso d'impotenza e la mia vicinanza a te, sconosciuto, che sei tanto simile a me. Impossibile spiegare come e perché ma più ti rivedo con quelle manette più avrei voluto togliertele e abbracciarti. 
Seppure non ci conosciamo, seppure io ho conosciuto il tuo nome solo attraverso i giornali e i comunicati di solidarietà io sento che un pezzo di me è lì, con te, ammanettato e in galera; così come so che un pezzo di te è con me, fuori dal carcere, col vento in faccia e il pugno alzato. Non so spiegare i come e i perché, ma è così. E basta.

Nessun commento:

Posta un commento